La collocazione della moglie in un centro anti-violenza non giustifica la concessione all’autore del reato della misura del divieto di avvicinamento in luogo della custodia cautelare in carcere.
Tribunale di Roma confermava l’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Roma con la quale era stata applicata la custodia cautelare in carcere nei confronti di Tizio per il delitto di maltrattamenti in danno della della coniuge separata.
Per il Tribunale, la custodia in carcere era misura necessaria in ragione dell’aggressività dell’indagato incapace di contenere i propri impulsi a causa dell’abituale assunzione di sostanze alcoliche e dell’atteggiamento di rivalsa del predetto anche dopo la collocazione della persona offesa e dei figli minori in una casa protetta.
Tizio ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento articolando un unico motivo in ordine alla scelta della misura cautelare di massimo rigore, in violazione del principio di proporzionalità, ed adeguatezza considerato il fatto che:
– la persona offesa vive presso un centro antiviolenza.
– attesa l’incensuratezza del ricorrente, potrebbe pertanto essere disposta la più gradata misura del divieto di avvicinamento congiunta a quella dell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare.
Per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile:
a) la scelta della misura della custodia in carcere è supportata da una motivazione adeguata che tiene conto della estrema gravità dei fatti in ragione delle lesioni personali ripetute nel tempo accompagnate da minacce di morte;
b) l’elemento di novità valorizzato dal ricorrente è palesemente incongruo: la collocazione della persona offesa presso un centro antiviolenza non può infatti essere apprezzata quale motivo di attenuazione delle esigenze cautelari.